L'Odissea: raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre
“Eccoli, gli sciocchi.
Uomini.
Animali.
Maiali.
C’è poi così tanta differenza?
Sono arrivati qui spossari dai viaggi e della intemperie, cercando quello che ogni maschio insegue. Cibo. Riparo. Una donna che li accudisca. La proiezione della loro madre. Che noia, questi uomini!”
Comincia così il capitolo del libro dedicato a Circe, la maga, ennesima vittima delle seduzioni di Ulisse durante le sue peregrinazioni.
E continuerà un po’ così per tutto il resto del libro, perché poi, in fondo, il punto è proprio quello.
Raccontare l’Odissea dall’altra parte.
Dalla parte di chi resta, invece di chi ripartire sul suo legno leggero.
Dalla parte di chi entra nella vita di Ulisse solo per uscirne e non rientrare mai più, a parte nelle varie comparsate delle memorie del lungo viaggio che poi non è altro che l’Odissea, appunto.
Quindi una serie di ricordi e nient’altro. Brutti ricordi, ci aggiungo io, perché quell’uomo che vaga per dieci ulteriori anni lontano dalla sua reggia, dalla sua famiglia e dalla sua inevitabile Itaca, probabilmente tutto vorrebbe fuorché essere costretto a visitare i talami di tutte coloro che lo ospiteranno.
E questo libro, purtroppo, fallisce al racconto di ciò che sentono loro che sono le vere protagoniste di questa storia, le donne che Odisseo ha usato visitato e di cui si è servito per il suo scopo, cioè tornare a casa.
È un’occasione mancata, questo libro.
Un'occasione mancata
C’era la potenzialità di far nascere uno spin-off o comunque un testo che complementasse quello che ci viene insegnato (e inculcato) a scuola.
C’era la potenzialità di raccontare davvero le donne che hanno visto la loro vita attraversata da quella di uno degli eroi più famosi dell’antichità classica, se non forse l’eroe per eccellenza.
Ho comprato questo libro, proprio per la sua promessa di restituirmi cosa avesse provato il lato femminile della storia, e invece, nell’arco di un terzo del libro al massimo, mi sono accorto che non avrei imparato alcunché di nuovo.
L’autrice ha preso tutti i dettagli legati alle donne nell’Odissea e di ha cercato di creare una narrazione che li riflettesse il più possibile, facendo finta di mantenere al centro della stessa le donne di Ulisse.
La verità è che il risultato è proprio l’opposto, perché al centro di tutto c’è sempre e solo lui, il molteplice Odisseo.
E qui mi è cascato proprio tutto.
Perché sarei stato disposto a leggere un libro al limite del nazi-femminismo pur di aver avuto la possibilità di capire cosa provava veramente la parte irrazionale di quelle donne.
Perché non ci credo che Penelope, dopo vent’anni che non vede suo marito, è ancora lì in attesa, casta (dalle tentazioni, non solo in senso sessuale), ma soprattutto per nulla incazzata. Quanto meno mi sarei atteso una leonessa che urla il suo dolore nell’attesa di rivedere un marito che preferisce andare a fare le guerra” piuttosto che aiutarmi a crescere un figlio, l’unico nostro figlio”.
Ecco, la superficialità di tutti i personaggi femminili mi ha veramente stupito. Credo che sia questo che abbia disatteso quello che vorrei aver letto.
Tutte le donne del polytropon (polimorfico) Odisseo, hanno dentro di sé un potenziale emotivo inespresso dovuto ai tempi in cui vivono: Calipso potrebbe tenerselo per sempre ma gli dei gli impongono di lasciarlo andare, Nausicaa ha l’impeto dell’amore acerbo che come un fiume in piena la travolge, Penelope ha il rancore/amore per l’uomo che la rende felice ma che poi, appena rientrato, deve già ripartire. E poi ancora Atena è straziata dal vedere il suo eroe inerme mentre i suoi compagni continuano a cadere in una peregrinazione che lui non vuole più; Euriclea, la nutrice si strappa i capelli nel pensare che il ragazzotto che ha tirato su lei non può far ritorno alla desiderata Itaca.
Ecco, di spunti per rendere questi personaggi più sfaccettati e profondi ce n’erano eccome.
In generale il libro sembra scritto da un uomo, ed è anche questa la cosa che non funziona. Come può un uomo, o comunque un narratore col punto di vista di un uomo, narrare davvero il dramma vissuto da ognuna di quelle donne?
Non può.
E infatti non ci è riuscito.
Ripeto, l’idea di partenza era molto buona, e peraltro si inserisce bene nel trend “moderno” (degli ultimi vent’anni almeno) di rileggere i classici e anche i componimenti epici in ottica nuova. Ovvero andando a indagare come l’uomo moderno avrebbe reagito agli ostacoli che si sarebbe trovato di fronte pur con la coscienza collettiva di oggi e tutti i valori morali che essa si porta dietro.
Era un’altra occasione di traslare l’epica nell’immanenza, anziché continuarla a studiare nella trascendenza classica.
Perché poi, queste scelte generano sempre scontri emotivi degni di essere raccontati, in quanto sono profondi e risuonano con le scelte che, talvolta, occorre fare anche a noi semplici esseri mortali.
Oppure sono interessanti perché costringono l’autore a giustificare scelte apparentemente immotivate che sono rimaste incastonate nel mito. Come per esempio, la scelta di Teseo di abbandonare Arianna, subito dopo averla rapita dal palazzo di Minosse (anche se di questa cosa te ne parlo nell'opinione del Re deve Morire).
Lo stile
Al di là di tutto questo, il libro è molto semplice e scorrevole da leggere. Si capisce abbastanza chiaramente che l’idea alla base dell’operazione dell’autrice è cercare di far appassionare i giovani alla lettura dei grandi classici.
Il che mi porta ad un altro punto: questo libro è stato scritto per dei teenager.
Che non è un male di per sé, anzi.
Semplicemente bisognava essere onesti con se stessi mentre lo si scriveva, mentre invece l’autrice, nella postfazione dice esplicitamente di aver scritto questo libro per tutte le età.
Il che è chiaramente impossibile, ma soprattutto (e qui viene fuori il mio animo di markettaro), riesce male in tutti gli scopi che si è prefissato. Se si fosse scelta una nicchia o comunque un segmento demografico ben preciso, avrebbe adattato meglio lo stile, soddisfando almeno le esigenze di quel pubblico.
Così invece ha fatto un bel buco nell’acqua.
L’unica cosa positiva del libro viene fuori nella postfazione, quando l’autrice spiega il perché di alcune sue scelte riguardo alla traduzione dal greco antico.
Cosa che, incidentalmente, mi fa capire di quanto ne sappia.
La cosa che ho trovato interessante e della quale non ero al corrente, riguarda la traduzione di ϊπποσ (hippos), riferito al cavallo per antonomasia, quello di Troia.
Ecco, qui l’autrice svela una teoria molto interessante (sebbene da molti sarebbe bollata come complottista): il cavallo di Troia non sarebbe stato una gigante di legno come vuole il mito, bensì una nave. La traduzione del termine ϊπποσ, infatti, si riferisce anche alle navi fenicie che erano dedicate al trasporto di merci preziose.
Il che significa che gli Achei si sarebbero nascosti in uno stratagemma che sarebbe stato di gran lunga più semplice da mascherare: cosa vuoi che sia una nave in mezzo al migliaio sulle spiagge di Troia?
Ma soprattutto, questa teoria darebbe una risposta alla domanda latente che tutti noi ci siamo fatti da che abbiamo imparato dell’incredibile idea di Ulisse per vincere la guerra: come diavolo avrebbero fatto a nascondere una statua in legno a forma di cavallo alta diversi metri nel proprio accampamento?
Non è sicuramente un oggetto che si costruisce in poco tempo e dunque è sempre un po’ difficile credere che i troiani non si siano mai accorti che stessero tramando qualcosa nella costruzione di tale cavallo sacrificale.
Conclusione
Per chiudere, il libro non vale il tempo che gli si dedica, ma questa ovviamente è solo una mia opinione e spero di vedere un dibattito acceso nei commenti.
É una buona lettura da ombrellone probabilmente. Di quelle che leggi più facilmente quando sei su una spiaggia greca, per esempio. Nulla di più.
Dettagli del libro:
- Autore: Marilù Oliva
- Titolo: L'Odissea: raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre.
- Anno di edizione: 2020
- Editore: Solferino